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La cultura davanti al potere

Oggi, alla Cavalerizza Reale, in via Verdi 9 a Torino, Franco Sborberi, professore di Filosofia politica, ha coordinato un incontro con quattro docenti di diverse discipline e UniversitĂ  italiane, che ci hanno esposto il pensiero di quattro personaggi importanti della storia del pensiero politico.

 


Ciao, Vittorio. In Piazza Castello, alle 19.30, per ricordarlo

Da poche ore è giunta la notizia sull’uccisione di Vittorio Arrigoni, cooperante e giornalista italiano rapito ieri nella Striscia di Gaza. Vittorio si è sempre battuto per difendere la vita di civili indifesi. Durante le fasi del bombardamento non ha esitato a fare da scudo umano alle ambulanze per evitare che venissero raggiunte dal fuoco israeliano. Ha viaggiato piĂą volte sulle imbarcazioni del Free Gaza Movement per dimostrare l’assurditĂ  dell’embargo imposto da Israele. E’ stato un esempio di informazione libera e indipendente. Vittorio Arrigoni era una persona a noi vicina. La sua voce ci ha aiutato a comprendere l’orrore che può generare l’odio. Questa sera, alle 19.30, in piazza Castello a Torino, ricorderemo Vittorio, come Acmos e come Salvagente, insieme a tutti coloro che vorranno esserci. I 400 ragazzi che stanno partecipando al Campus di Biennale Democrazia saranno presenti alla manifestazione. SarĂ  un momento di raccoglimento, leggendo i suoi articoli, stringendoci intorno ai suoi cari e a tutti coloro che, come lui ha fatto, si battono per la pace, la veritĂ , la giustizia e i diritti umani.


Ciao, Vittorio


Da poche ore circolano notizie sul ritrovamento del corpo di Vittorio Arrigoni. La conferma l’abbiamo avuta ora, da una delle persone che ha condiviso con lui l’esperienza dell’inferno di Gaza. Quel fazzoletto di terra dimenticato dai piĂą, difeso da Vittorio grazie alla forza della parola, con la presenza sul campo, proprio a Gaza. Vittorio, attivista per i diritti umani, da anni impegnato per dar voce ad un popolo dimenticato, è stato l’unico giornalista occidentale a raccontare i giorni dell’Operazione Piombo Fuso. Non era solo il megafono di quell’inferno. Vittorio si è sempre battuto per difendere la vita di civili indifesi. Durante le fasi del bombardamento non ha esitato a fare da scudo umano alle ambulanze per evitare che venissero raggiunte dal fuoco israeliano.Ha viaggiato piĂą volte sulle imbarcazioni del Free Gaza Movement per dimostrare l’assurditĂ  dell’embargo imposto da Israele. Un embargo che, senza entrare in analisi politiche, continua a generare fame e sofferenza. Effetti che colpiscono tutti gli abitanti di Gaza, in modo indiscriminato.

Vittorio Arrigoni è morto a 36 anni. Strangolato da un gruppo di estremisti salafiti nel tentativo di Hamas di liberarlo.

Vittorio Arrigoni era una persona a noi vicina. La sua voce ci ha aiutato a comprendere l’orrore che può generare l’odio.

Vogliamo salutare Vittorio ricordando l’obiettivo della sua azione quotidiana: “Restiamo umani”.


“Io non credo nei confini, nelle barriere, nelle bandiere. Credo che apparteniamo tutti, indipendentemente dalle latitudini e dalle longitudini, alla stessa famiglia che è la famiglia umana” Vittorio Arrigoni


Processo alla Scuola

Oggi, 15 aprile 2011, alle ore 10.30, presso la Cavallerizza Reale, si è svolto il “Processo alla scuola”.
L’incontro si è svolto come un vero e proprio processo: l’accusa era presentata da Vittorio Campione, esperto di sistemi educativi, mentre si è occupato della difesa Girolamo De Michele, scrittore ed insegnante.
Come giudice e coordinatore dell’incontro presiedeva Andrea Bajani, scrittore.
A rompere il ghiaccio è stata l’accusa presentando i capi d’imputazione, ed è stata supportata dal perito di parte Rosario Drago e dalla testimone Martina Salemi. E’ stata sottilineata la necessitĂ  di un cambiamento alla base del modello educativo e del sistema scolastico, è stata criticata la gerarchia che viene riconosciuta nel senso comune secondo la quale i licei sono considerati al di sopra degli istituti professionali; l’accusa ha fatto notare la mancanza di una forma di orientamento che aiuti gli studenti ad indirizzare al meglio le loro potenzialitĂ . Viene enunciata l’esistenza di una scuola che comprime le cose buone che possono esistere al suo interno, come insegnanti o studenti, che non possono agire all’interno di essa per cercare di modificarla in meglio. Tra le varie testimonianze è emersa la demotivazione e la mancanza di serenitĂ  che caratterizza l’ambiente scolastico, sia dalla parte di chi sta dietro la cattedra sia di chi sta dietro il banco. La scuola viene descritta come un’istituzione che non funziona da ascensore sociale ma sacrifica le eccellenze.
L’argomentazione della difesa si basa sul concetto secondo il quale la scuola dovrebbe essere sostenuta dalla societĂ , cosa che invece oggi non avviene poichĂ© ci troviamo a vivere in una societĂ  in cui “non conta la cultura ma conta il culturismo”. Viene promosso un ambiente cooperativo rispetto ad uno competitivo, oggi vengono notate le capacitĂ  visibili degli alunni senza valorizzare quelle che potrebbero essere potenzialitĂ  latenti. Le testimonianze del perito di parte Domenico Chiesa e del testimone Ovidio Piscariu, affermano che non è vero che la scuola è una scommessa mancata. Esistono ancora quegli insegnanti che riescono a farti vedere la possibilitĂ  di costruire un futuro. L’obiettivo da raggiungere secondo la difesa è il cambiamento della scuola in una istituzione che sia all’altezza di tutti e che possa diventare un vero e proprio laboratorio di democrazia.
Al termine delle argomentazioni di entrambe le parti, la giuria ha espresso il suo parere: la scuola è stata assolta dai capi d’accusa.
Della stessa posizione è stato, infine, il giudice che ha potuto esprimere il proprio pensiero: accusa e difesa stanno entrambe dalla stessa parte, in quanto durante la mattina si è svolto un incontro dialettico, un confronto che rispondeva alla domanda “Cosa vogliamo dalla scuola?”. Bajani sottolinea la necessitĂ  di imparare a porre domande “presuppone l’esistenza di un futuro”, per la scuola e per tutti noi.


L’Italia di Francesco De Sanctis: vizi e virtù degli italiani

 

 

Oggi, al Teatro Gobetti, il fondatore del quotidiano “La Repubblica” Eugenio Scalfari,coordinato da Gustavo Zagrebelzky, ha avuto l’arduo compito di illustrarci quali sono i vizi e le virtù del popolo italiano: lo ha fatto anche grazie all’analisi di Francesco De Sanctis, scrittore, critico letterario, politico, Ministro della Pubblica Istruzione e filosofo italiano del XIX secolo.

“De Sanctis –racconta Scalfari- era un personaggio curioso: egli non aveva un’idea politica, ma aveva un’idea culturale precisa del Paese. Egli dimostrò come la struttura della lingua sia fondamentale per il pensiero e per il carattere. La lingua è il pensiero che si articola in parole: l’articolazione in parole scioglie la confusione.

Qual è uno dei grandi vizi che caratterizza gli italiani?”. “ Viviamo -spiega Scalfari- in un paese emotivo, cediamo facilmente a moti emozionali. Noi italiani non seguiamo il processo, lo svolgersi delle situazioni, ci facciamo guidare dall’emotività: abbracciamo le idee in modo precario. Nel corso della giornata, emozione dopo emozione, l’italiano, che vive in un mondo emotivo, cambia più volte opinione”.

Menziona, a questo proposito, Francesco Guicciardini, storico, scrittore e politico italiano, vissuto in Italia a metà del 1500. Egli, già allora, aveva constatato, nella sua analisi dell’uomo italiano, questa caratteristica: Guicciardini viveva in un’Italia in cui erano presenti otto Signorie, che avrebbero potuto coalizzarsi per evitare la conquista del Paese da parte dello straniero. Erano ricche, avevano anche la capacità di governare: ma non lo fecero, perché questo voleva dire assumersi la responsabilità di tutti. Era meglio appoggiare il potente di turno. Guicciardini, già allora, aveva constatato che questo era un marchio che pesava sugli italiani, marchio di cui bisognava assolutamente disfarsi.

All’analisi dell’uomo italiano, Scalfari contrappone la storia de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, analizzata da De Sanctis. Anche Manzoni raccontò di questo marchio, ma lo fece attraverso una storia che tutti conosciamo, incentrando questa caratteristica nella figura di Don Abbondio.

Don Abbondio è una persona per bene, devota alla Chiesa. Si trovò in una situazione difficile, in cui si sentì minacciato dall’arroganza di Don Rodrigo e dei suoi bravi; nonostante questo, avrebbe potuto ugualmente celebrare il matrimonio di Renzo e Lucia, ma non lo fece. Don Abbondio, come tutti sappiamo, preferì allearsi con il più potente.

La situazione si ribaltò quando il Cardinale Federico Borromeo gli offì la sua protezione e benedizione: decise così di curare Lucia (che era stata rapita e poi liberata dall’Innominato) e la restituì alla madre.

L’uomo italiano, continua Scalfari, è quello che, come afferma Guicciardini, “pensa al suo particolare”, proprio come ha fatto Don Abbondio ne “I Promessi Sposi”.

Il fondamento del carattere italiano,però, resta caratterizzato dalla bontà, dalla fede: ma se viene investito di una responsabilità che va al di fuori del suo particolare, non è in grado.

Dobbiamo liberarci di questo marchio: solo così potremo avere uomini e donne che sapranno governare l’Italia, uomini e donne che non hanno solo interessi privati nello schierarsi dall’una o dall’altra parte, ma uomini e donne che credono nella politica e nella giustizia, che rispettano la nostra Costituzione, in modo particolare, cita Scalfari, l’Art. 54: […]”I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.

 

 

 

 

 


Terre rubate

“Trenta giorni di nave a vapor”. Così inizia la canzone del Sirio, una ballata da osteria scritta per ricordare i cinquecento migranti piemontesi e lombardi morti al largo di Cartagena mentre cercavano di raggiungere le Americhe. Parte da questa storia langarola il fondatore di Slow Food Carlo Petrini per analizzare la crisi globale economica, alimentare e sociale. “Abbiamo la memoria corta – denuncia Petrini – le grandi migrazioni di massa ci hanno visto protagonisti fino a cento anni fa,  ma ancora oggi facciamo fatica a comprenderle e a tollerarle”. Fenomeni dei quali, secondo il fondatore di Slow Food, bisognerebbe indagare non tanto gli effetti e le soluzioni, ma piuttosto le cause che li hanno generati.

Sul banco principale degli imputati, l’attuale sistema alimentare che Petrini giudica criminale. Negli ultimi sessant’anni la percentuale di malnutriti è cresciuta del 360% mentre la popolazione mondiale è aumentata del 200%. Questo significa che la malnutrizione è cresciuta piĂą che esponenzialmente rispetto all’andamento della popolazione

“Le responsabilitĂ  risiedono nel nostro modello di sviluppo”. Fmi e Banca Mondiale hanno imposto modelli di sviluppo insostenibili che si basano su tre elementi: il rafforzamento dell’agricoltura industriale per esportazione (cacao, caffè, cotone); l’abbandono delle campagne per industria manifatturiera nella cittĂ , la scomparsa dell’agricoltura di sussistenza.

Un’altra causa è rappresentata dalla perdita di fertilità dei suoli: “La terra è esausta” è il grido di allarme che arriva dai contadini africani. L’ultima responsabilità è di natura geopolitica e riguarda la compravendita del bene più prezioso per un popolo: la terra. Tra il 2008 e il 2009 sono stati venduti 45 milioni di ettari,  una superficie pari a una volta e mezza all’Italia. Tra i compratori si ritrovano Paesi preoccupati di non sostenere la crescita demografica, paesi con scarsa fertilità, gli speculatori e le imprese produttrici di agro-combustibili.

I modelli di risposta sono due: il primo è di tipo scientifico-tecnico e si basa su una green revolution transgenica che può attingere a grandi disponibilità economiche, il secondo parte dalla cooperazione di oltre 250 milioni di contadini e oppone al capitale economico quello sociale, un mix di giovani e nuove tecnologie. Contadini come quelli delle oasi marocchine che producono marmellate di datteri e zafferano e le vendono online in Europa. Una forma di economia legata al territorio fin dalle radici e che si contrappone alle false soluzioni dei grandi progetti di sviluppo finanziati dall’Occidente. Lo ha spiegato bene un contadino africano: “vengono a costruire una casa nelle nostre terre, ci impongono progetti di sviluppo e alla fine ci chiedono di che colore vogliamo la cucina”.

“Denunciare non basta – conclude Petrini – bisogna enunciare: a partire dai comportamenti individuali e dalle responsabilitĂ  individuali”.  L’accoglienza delle associazioni della cittĂ  verso i migranti arrivati dal Magreb è l’èsempio concreto.