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Processo alla telepolitica

Edoardo Novelli mette sotto processo la politica televisiva chiamando a difenderla, in un teatro Carignano pienissimo, Giovanni Floris. L’impresa è ardua ma lo sforzo del giornalista di Ballarò è apprezzabile. I principali capi d’accusa sono l’assassinio del discorso politico, il sequestro del leader, l’adulterazione del dibattito politico a fini spettacolari e l’indebita appropriazione della rappresentanza da parte della tv. Le prove che Novelli porta al cospetto di Floris sono spezzoni di video delle teche Rai delle Tribune Elettorali e di vari dibattiti politici ai tempi in cui la televisione era fatta di parole, pause e pacatezza. A dominare erano le ideologie e i politici erano a disagio davanti alla telecamere e c’era una certa reticenza nel fare della tv uno spettacolo. È evidente il parallelo con la situazione odierna in cui a dominare sono le immagini, un linguaggio spesso aggressivo e banalizzante, la spettacolarizzazione del dibattito politico e la messa in scena del privato.

Floris difende strenuamente il suo lavoro, il giornalismo televisivo sottolineando come la tv non sia la causa dell’impoverimento culturale bensì l’effetto. Il vero problema in Italia sarebbe piuttosto un problema di mercato, ovvero la presenza del duopolio Rai-Finivest, in questo momento riconducibile ad un’unica personalità, e la conseguente mancanza di pluralismo. Per Floris la televisione non va demonizzata. Va anzi utilizzata riconoscendone la potenzialità democratica di raggiungere i grandi pubblici. Il tentativo deve essere quindi piuttosto quello di utilizzarla per cambiare, per costruire un medium diverso, per diffondere un’informazione e una cultura diversa, per un Paese diverso.